L'urlo di Furio Cavallini
Nessun attaccamento alla tradizione. Furio Cavallini preferisce sembianze mai inamidate, vigorose, talvolta colleriche. La posa non esiste; e per comprendere a fondo i suoi stimoli artistici, ci dobbiamo immaginare oggetti, esseri viventi che vibrano inesausti, incapaci di sostare sommessamente in un mondo che Cavallini ordina secondo una partitura che coglie l'ultima essenza - quella misteriosa, oscura, remota, mossa. La tela si fa turbine, il colore vola e si sublima in sogno, in una visione che afferra la natura, risucchiata in un vortice che la assottiglia figurativamente, marcandone il carattere aggressivo, di luminosità radicale. Le forme corporee risentono di un calore evocato dal fulgore di una pennellata gigantesca, monumentale. Già Lucian Freud aveva incorniciato una sensibilità che descriveva i sentimenti isolati e spigolosi di un uomo malinconico, solo, rabbioso - Cavallini, similmente, scompone e ricompone linee ed estremità allusive di un mondo nuovo, immaginario, in cui il dubbio e l'inesplorato vogliono sostituire la tetra quotidianità. Furio Cavallini disegna frammenti che sciolgono la superficie delle cose per renderne plausibile la materia nascosta, per far riaffiorare l'inavvicinabile, che si eleva grandioso. Sino a sfiorare il cielo interiore, burrascoso e fragile.
Andrea Baldocchi
aprile 2013